lunedì 18 dicembre 2017

Christmas with the yours, Amiga what you want

Premessa: non amo particolarmente il Natale, principalmente perché Dicembre, negli anni, mi ha portato via troppe cose importanti. Però ogni tanto capita un piccolo miracolo; nella fattispecie, un uomo assai più saggio di me è riuscito a restituirmi la voglia di videogiocare con un semplice calendario dell'avvento, incatenandomi nuovamente al COMMODOROUGH SIXTY-FOUROUGH durante ogni momento libero. Poiché l'amato otto bit mi pare al sicuro nelle sue mani, ho deciso di scrivere un paio di righe sulla genesi di Amiga, approfondendo e rielaborando un mio articolo scritto inizialmente un bel po' di tempo fa.

Kerry Kaplan e Jay Miner stavano facendo la storia quando si sentirono al telefono nel 1982, riguardo una singolare proposta d’affari. Un gruppo di investitori, costituito da un magnate del petrolio e alcuni dentisti, desiderava spendere sette milioni di dollari nella creazione di una società di videogiochi. Il periodo era ottimo, con la golden age delle sale giochi che mieteva montange monetine al bar e  - di riflesso - pacchi di banconote a casa, dove le console cercavano di riproporre tra le pareti domestiche un simile fervore digitale. Kerry e Jay erano davvero le persone ideali per il succosissimo investimento: il primo aveva salutato Atari per fondare Activision assieme a David Crane, Bob Whitehead e Alan Millar, dopo la storica sparata di Ray Kassar per cui i programmatori erano importanti quanto gli addetti alla catena di montaggio, mentre il secondo era la mente dietro il 2600, desideroso di lavorare con le ultime tecnologie come il performante Motorola 68000, ritenuto però eccessivamente dispendioso dalla casa di Bushnell. 

E se va bene a Andy...
I due quindi decidono di creare una nuova console dopo aver provato il NES al CES dello stesso anno, rimanendo poco impressionati dalla semplice architettura a otto bit. Il piano di battaglia sarebbe stato portato avanti grazie ai loro rispettivi punti di forza: Miner si sarebbe occupato dell’hardware, mentre il genio del software Kaplan avrebbe scritto i giochi per la nuova macchina, conoscendone già a menadito caratteristiche e scorciatoie. Viene quindi fondata a Santa Clara in California la Hi-Toro, una nuova compagnia i cui ranghi verranno rinforzati dall'energico David Morse, allora responsabile marketing della Tonka. Bisognava però far presa sul mercato, far conoscere la nuova azienda per fomentare l’hype in modo che il nuovo prodotto arrivi sul mercato nerboruto e agguerrito, e per questo Jay ebbe la pessima idea di chiedere a Kerry un'udienza con Nolan Bushnell in persona, per coinvolgerlo nel progetto sfruttando suo innegabile know-how. 
Da lì il disastro: in perfetto stile Palpatine, Bushnell seduce al lato oscuro Kerry, assicurandogli che lavorando direttamente con lui i guadagni sarebbero stati molto maggiori. Solo per perdere interesse nel progetto poco dopo, lasciando l’ex fondatore di Activision senza lavoro. 
Miner non si perde d’animo e, anzi, parte in quarta e pensa in grande: perché limitarsi a una console, quando un personal computer avrebbe offerto infinite possibilità in più? Una decisione saggia che cozza contro la cocciuta inesperienza dei suoi investitori; nessuno però avrebbe potuto prevedere la crisi del mercato americano nel 1983, un crollo dell’impero videoludico tale da rendere la parola "console" tabù nella terra di John Wayne. Prima del crollo, però, anche Miner aveva dimostrato una certa cocciutaggine, promettendo sì una console ai suoi mecenati, progettandola però con porte di espansione, in modo da trasformarla in un computer più in là, grazie ad appositi accessori. Un’idea che comunque godeva di una certa popolarità, basti pensare al Keyboard Component dell’Intellivision e alla visione della stessa Mattel, che sin dall’inizio pubblicizzava la sua console come molto più di un semplice giocattolo, la base per un home computer dalle grandi prestazioni e dal prezzo ridotto. Nel frattempo la Hi-Toro cambia nome in Amiga, perché la parola Toro a quanto pare è presa da un’azienda di prodotti per il giardinaggio giapponese.

Per foraggiare lo sviluppo della belva (che, ricordiamo, è il balocco personale di Miner, costruita attorno al suo desiderio di usare le ultime tecnologie) una divisione di Amiga produce videogiochi per il sempreverde 2600, oltre alla celebre Joyboard, praticamente l’antesignano del Wii Balance Board di Nintendo! Si tratta di una piattaforma che permette di spostare il peso a destra e sinistra: l’unico gioco che la sfrutta è Mogul Maniac, uno slalom presentato in televisione dalla bellissima sciatrice professionista Suzanne Chafee, tra l’altro compreso nella confezione. 

Die Zukunft!
Quindi il crash arriva puntuale, scoraggiando gli investitori che a questo punto abbracciano la visione computeristica di Miner. Il nostro crea un progetto chiamato Lorraine, una mostruosità ottenuta collegando diverse PCB portate coralmente in vita dal tanto desiderato 68000 assieme a tre chip dedicati, Agnus, Paula e Denise. Questa sarebbe stata la prima generazione del chip set (OCS, Original Chip Set), prima di evolversi in ECS e AGA. In breve, Agnus è il coordinatore dell’intero chipset, Denise genera le temporizzazioni video ed è a capo delle varie modalità video di Amiga, mentre Paula si occupa del sonoro, con quattro canali Pulse-Code Modulation a otto bit in DMA. 

Una squadra di fuoriclasse al silicio che avrebbe alleggerito di molto il lavoro del processore e della RAM. Il sistema operativo sarebbe stato anch’esso un pezzo da novanta, e per questo viene coinvolto RJ Mical, un ex ingegnere alla corte di Williams dove aveva contribuito (tra le altre cose) alla creazione di Sinistar assieme alla leggenda vivente Noah Flastein. Il Workbench sarebbe stato uno dei primi sistemi operativi a base di icone e interfaccia grafica assieme al Desktop di Macintosh e al mitico Xerox Alto, il primo computer dotato di interfaccia GUI e mouse, addirittura nel 1973! Un sistema operativo, quindi, intuitivo e alla portata di tutti, alla faccia del DOS. La macchina viene presentata a una folla allibita durante il CES del 1984 grazie a Boing Ball, una demo scritta nottetempo da Mical e Dale Luck dove una sfera a scacchi rossi deambula per lo schermo in maniera convincente, con un eco che rimbomba a ogni rimbalzo mentre il Workbench continua a lavorare in multitasking sullo sfondo. 

Jeff Minter ha recentemente omaggiato la divina sfera, annoverandola tra gli ostacoli dello sparatutto Polybius.
Si tratta di un momento fondamentale nella storia dell’informatica, tanto che il pubblico non poteva concepire che tale spettacolo fosse il frutto di un computer, aggirandosi guardingo per lo stand di Amiga, alla ricerca di collegamenti a qualche fantomatico videoregistratore!
Questa prova di forza cattura l’attenzione di Atari, in realtà interessata maggiormente all’OCS sviluppato da Jay Miner, offrendosi di comprare una considerevole quota di azioni, nella fattispecie un milione a tre dollari l’una; proprio quello che ci voleva per mettere il prototipo in produzione e cominciare a fare soldi. Atari però era un’azienda molto brava nel fare affari redditizi (vi rimando alla storia di Epyx), quindi concesse cinquecentomila dollari a Amiga sapendo in anticipo che Miner, Mical e compagni non sarebbero stati in grado di restituirli, forzando la società in un debito impossibile da estinguere, riducendo quindi il prezzo di ogni singola azione a meno di un dollaro. E la nostra storia sarebbe prematuramente giunta la termine: Atari avrebbe usato l’OCS per chissà quale progetto fallimentare (perdonatemi amici Atariani, ma Amiga è sacra e mi rende poco oggettivo) e noi non avremmo potuto giocare a Rocket Ranger, tuttavia la realtà andò diversamente grazie all’entrata in gioco di Commodore, una compagnia che stava cavalcando l’onda del successo diVic 20 e Commodore 64, cercando un nuovo progetto con cui portare avanti la sua dinastia. 
Commodore quindi arriva come un imperatore bellissimo e carismatico, pagando un milione di dollari ai satanassi di Atari (ok, questa è l’ultima, giuro), ovvero il doppio del debito di Amiga. Una somma che liberò Miner dall’incubo e da tutte le clausole imposte da Atari, acquisendo la totalità delle azioni e permettendo la commercializzazione del computer. La formazione di PCB venne ridotta a un case fornito di monitor e mouse, dando vita finalmente all’Amiga 1000. Sapevate che all’interno del suo case c’è la firma a rilievo di Jay Miner, con sotto l’impronta della zampa del suo cane Mitchy?  

BAU! n.d.Mitchy
Sappiate anche che il computer venne presentato per la prima volta il 23 Luglio 1985 al Lincoln Center di New York in pompa magna, coinvolgendo nella presentazione Andy Warhol e Debbie Harry dei Blondie.
Qualche mese dopo Amiga raggiunge dunque i negozi, senza riuscire a convincere il pubblico. Pubblicità poco d’impatto? Mancanza di un software in grado di rendere l’acquisto imprescindibile? Il prezzo di 1295 dollari era buono: non basso, ma inferiore a quello di un MAC o un IBM, e le caratteristiche erano al loro posto, note agli addetti ai lavori, ma non all’uomo della strada.
A queste suopposizioni va sommato il - presunto - poco incisivo marketing di Commodore, rea di aver slittato di ben sei mesi la commercializzazione della macchina nel mercato europeo. Perché? Beh, un ingegnere particolarmente inalberato verso la scarsa capacità commerciale dell’azienda nascose un messaggio segreto nella ROM del computer: premendo otto tasti all'inserimento di un  dischetto, appariva il colorito messaggio “we have made the Amiga, they fucked it up”. 


Che, col senno di poi, si rivelò una bravata controproducente, dato che Commodore prese il tempo dovuto per sostituire le ROM incriminate, eliminando il messaggio nel Workbench 1.3 e causando il famigerato ritardo. Il problema principale era comunque dovuto alla mancanza di una vera e propria killer application, un software in grado mostrare i muscoli di una macchina che non aveva ancora convinto lo smanettone del 1986 a spedire in cantina l’amato Commodore 64. Poi arrivarono le fanfare, i cavalieri, l’arme e gli amori di Defender of the Crown (1986), e improvvisamente Amiga si tramutò nel principe degli home computer. 
Robert Jacob aveva messo assieme un dream team con Jim Cuomo e Bill Williams agli strumenti, Jim Sachs ai pennelli e il solito, onnipotente RJ Mical alla programmazione, una formazione che non poteva sbagliare, colpendo e affondando il cuore degli smanettoni di cui sopra con precisione chirurgica. Solo, il prezzo di 1.300 dollari circa che l’Amiga 1000 chiedeva era sì popolare per una macchina da lavoro in grado di dare la birra a Macintosh e IBM e compatibili, tuttavia ancora troppo salato per il ragazzino che importunava i genitori per avere il nuovo super computer della morte, specie se possedeva già un "obsoleto" otto bit. 

L'inizio di un'era per molti. Un debito nei confronti del mio amico David che non verrà mai estinto.
Quindi Commodore decise di creare un modello più popolare nel prezzo e nelle dimensioni, dando alla luce il fortunatissimo Amiga 500, la variante più venduta di tutta la scuderia. Zitto zitto, il punto di forza era il modulatore TV che slegava l’acquirente dal bisogno di portare a casa un ingombrante e costoso monitor, permettendo di godersi le meraviglie della nuova macchina anche sul televisore.
Il tutto al prezzo di settecento dollari circa, una somma che qualificava Amiga come un affare coi fiocchi per il professionista alla ricerca dello stato dell’arte informatica, ma anche come un regalo di Natale possibilissimo per il ragazzino che sognava di notte il blockbuster Cinemaware, possibilmente dotato di una pagella priva di insufficienze.
La macchina stavolta venne creata direttamente da Commodore, con tanti saluti alla squadra originale di Jay Miner, quella lì che si divertiva a scrivere volgarità nelle ROM dei computer. La competizione, del resto, sarebbe stata un comune denominatore nella storia dello sviluppo di Amiga, con squadre interne a Commodore che avrebbero alternato e confrontato prototipi durante feroci brainstorming, cercando di prevalere in nome del prestigio aziendale e dello sporco denaro, che male non fa. 
Ovviamente Commodore aveva capito che senza software la macchina non avrebbe fatto molta strada, nemmeno dopo il recente lifting, e venne (indirettamente?) aiutata dalla Electronic Arts del vulcanico Trip Hawkins.
Magari è difficile da credere al giorno d'oggi, ma prima di trasformarsi nell'Imperdo del Male con le maiuscole di rito, Electronic Arts era un marchio che scaldava il cuore se avvistato su una confezione, merito anche dell'intuizione di Trip, che voleva trasformare i suoi sviluppatori in riconoscibili rockstar del codice; un po’ come David Crane e la cricca di Activision insomma, ma con più soldi. 

Più che un videogioco, Pinball Contruction Set si presentava sugli scaffali come se si trattasse dell'ultimo album di Bill Budge. La Electronic Arts dei vecchi tempi era qualcosa di stilisticamente inarrivabile.
La software house, dicevamo, commercializza nel Novembre del 1985 il Deluxe Paint, cambiando per sempre il modo di fare grafica con il computer, gettando le basi per la creazione dei videogiochi su Amiga negli anni a venire. Un programma potente e semplice da usare, che schiacciava senza sforzo il già arcaico Graphicraft, sviluppato da Island Graphics Corporation agli albori del sedici bit Commodore. Fu una rivoluzione che scoperchiò il vaso di Pandora, spronando decine di talentuosi programmatori  a dare il massimo sulla nuova macchina e creando leggende come i Bitmap Brothers o la Bullfrog. 

Se dalle parti di Commodore la situazione iniziava ingranare, altrettanto non si poteva dire per quel che restava di Hi-Toro in seguito alla decisione di spostare gli uffici da Los Gatos in Pennsylvania, un evento che causò un’emorragia di menti. Lo stesso RJ Mical trovò asilo presso Cinemaware come già detto, ma anche Jay Miner abbandonò la leggenda che aveva creato con le sue mani, mantenendo tuttavia una posizione di consulente all’interno di Commodore. Amiga era diventata il nuovo paradiso per quei bedroom coder che si erano fatti le ossa sugli otto bit. Non c’era bisogno di kit di sviluppo, licenze o costose cartucce; gli sviluppatori erano liberi di scrivere quello che volevano in totale libertà, dando libero sfogo alla loro creatività grazie a potenzialità nettamente superiori rispetto a quanto sperimentato sulle vecchie piattaforme. 

Nel frattempo l’Amiga 2000, controparte di fascia superiore di Amiga 500, spopolava alla grande nell’industria televisiva grazie a potenza e versatilità, qualità ottenute grazie alle numerose porte di espansione che la resero un indispensabile strumento nella realizzazione di serie culto come Babylon 5. 


Una sorte sfortunatamente non condivisa da buona parte dei modelli successivi come l’Amiga 1500 o il CDTV, troppo avanti rispetto ai tempi anche nel 1991, con la sua sfrontata propensione alla multimedialità in un mercato che non era assolutamente pronto per una simile rivoluzione.
Bisognava muoversi: Windows 3.1 era alle porte, i prezzi dei sistemi MS-DOS stavano calando e i nuovi modelli di Amiga (come il compatto ma sostanzialmente inutile A600) non offrivano nulla di innovativo rispetto all’architettura originale ideata anni prima da Miner. 
Almeno fino all’arrivo di Amiga 1200 nel 1992, commercializzata assieme al muscoloso fratello dedicato alle aziende, Amiga 4000. La nuova generazione apriva le danze con lo strepitoso AGA (Advanced Graphic Architecture) che permetteva giochi dedicati dotati di grafica eccellente, assieme a una boccata d’aria fresca per una demoscene che oramai conosceva l’ECS da cima a fondo. Sfortunatamente ma la mancanza di un lettore CD-ROM rappresentò per molti una mancanza imperdonabile, chiudendo in partenza una porta sul futuro. 

La perfezione, o quasi.
A onor del vero, Commodore continuò a lavorare su nuove iterazioni, arrivando a sviluppare un fantomatico chipset chiamato Hombre per un’ancora più elusiva piattaforma di ultima generazione chiamata CD64, ma la bancarotta dell’azienda nel 1994 troncò le speranze sul nascere, senza dar tempo alla dirigenza di metabolizzare il tiepidissimo debutto nel 1993 di Amiga CD32 (banalmente,  un Amiga 1200 senza tastiera e con un lettore CD-ROM), la loro prima console a sedici bit nonché seguito spirituale di quel disastro chiamato Commodore 64 Games System.   
Amiga però era dura a morire, con programmatori che continuavano a sviluppare software per la gigantesca base installata e con la tedesca Escom che, dopo aver messo le mani sulla salma di Commodore per quattordici milioni di dollari, continuò a commercializzare Amiga 1200 assieme a una versione tower di A4000.
Nel futuro del marchio, Escom vedeva nuove possibilità, decisa a concedere il nome Amiga per la creazione di diversi modelli di home computer, un po’ come era successo per i compatibili IBM, arrivando anche a considerare lo sviluppo di una nuovissima generazione incarnata nel prototipo chiamato Walker (1996), un’Amiga 1200 con CPU di più potente, capacità multimediali e uno sguardo rivolto all’espansione del sistema. 

Walker, il tostapane che hai sempre desiderato.
Purtroppo vennero realizzati solo alcuni prototipi dato che sia Escom che la divisione Amiga Technologies andarono incontro all’ennesima bancarotta, per giunta durante lo stesso anno. 

Da allora il destino del marchio è fumoso, avvolto in una serie di acquisizioni che non hanno nulla a che vedere con il romantico ricordo di un passato glorioso. Amiga è stato il re di un’era, frutto del sogno e del lavoro di Jay Miner e RJ Mical tra tutti, innovativo, possente e in grado di spalancare le porte del regno a sedici bit per un esercito di talentuosi sviluppatori e, ovviamente, videogiocatori sbalorditi, che hanno vissuto il passaggio da Spectrum e C64 come l’ingresso in una vera e propria età dell’oro videoludica. Lunga vita al re. 

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